Nell'occhio del ciclone (e anche nei suoi dintorni)

È da poco finito l'appuntamento usuale con l'uragano che, annualmente, sconvolge le coste (e non solo) degli Stati Uniti. In realtà, gli uragani sconvolgono anche gli scienziati che li studiano, poiché il processo che porta alla loro formazione non è ancora completamente chiarito. E, come è ben noto, il fenomeno di cui si parla è di quelli più devastanti tra tutti i fenomeni naturali: basti pensare al fatto che, al massimo dell'effetto, un uragano può generare una potenza pari a circa 3.000 volte quella prodotta in tutto il mondo sottoforma di energia elettrica!

 

 

Da dove viene tutta questa energia? La risposta generale è molto semplice: dalla condensazione dell'acqua. Infatti, come forse saprete, per far evaporare un kg di acqua occorre un'energia pari a circa 600 kWh (da confrontare con i 2-3 kWh che eroga in una casa normale il gestore di energia elettrica), e, viceversa, per far condensare un kg di vapor acqueo, viene liberata la stessa quantità di energia. La condensazione dell'acqua nelle nubi è, dunque, la fonte primaria di energia di un uragano.

Per iniziare un tale processo, il primo ingrediente necessario è allora quello di avere una grande regione oceanica di acqua calda (con una temperatura di almeno 27oC) che possa provvedere a fornire l'energia necessaria, ovvero la quantità necessaria di vapor acqueo. Tuttavia, per poter concentrare tale energia, e quindi formare l'uragano, occorrono almeno altri tre ingredienti fondamentali: una zona di bassa pressione a livello del mare, una lieve variabilità nella velocità del vento in verticale e una latitudine di almeno 5o nord o sud, ovvero una zona vicino all'equatore, ma non troppo.

L'acqua calda dell'oceano evapora, e l'aria calda, che ha una densità minore rispetto quella più fredda, tende a salire rapidamente verso l'alto (una applicazione del noto principio di Archimede). Si crea, allora, una grande zona di bassa pressione a livello del mare (l'aria che sale lascia "vuota" la zona a livello del mare), per cui altra aria viene richiamata dall'esterno verso l'interno a riempire la regione di bassa pressione. Man mano che sale, l'aria si raffredda e, quindi, condensa, rilasciando energia che serve a riscaldare altra aria.

 

 

 

Tutto questo movimento di aria verso il centro dell'uragano è, poi, soggetto ad un fenomeno fisico noto come forza di Coriolis, originato dal moto di rotazione della Terra.

 

Quando una massa d'aria nell'emisfero nord della Terra si sposta verso sud, in direzione di una regione a bassa pressione, essa si sposta contemporaneamente anche un po' verso ovest, poiché la Terra ruota da ovest verso est (vedi figura). Al contrario, masse d'aria che si muovono verso il centro dell'uragano giungendo da sud (invece che da nord) subiscono contemporaneamente uno spostamento anche verso est (vista "dal di sotto", la Terra ruota in senso contrario). Nel complesso, dunque, l'uragano acquista una rotazione antioraria (se si forma nell'emisfero nord). Naturalmente, questo effetto è molto debole nel caso - per esempio - dell'acqua che ruota scorrendo in un lavandino (qui gioca un ruolo molto maggiore la forma eventualmente ovalizzata del lavandino, o lo scarico dell'acqua non perfettamente centrato nel lavandino), ma svolge un ruolo importante sulle grandi scale delle tempeste e degli uragani. L'effetto dovrebbe essere massimo vicino all'equatore, dove la velocità di rotazione (tangenziale) è maggiore: infatti, vicino ai poli la distanza dall'asse terrestre è minima, e la velocità di rotazione è anch'essa minima, mentre aumenta man mano che ci si avvicina all'equatore. Tuttavia, l'ampiezza della velocità non è l'unico parametro da cui dipende la forza di Coriolis (essa dipende anche dalla direzione della velocità con cui si muove la massa d'aria rispetto l'asse di rotazione), che risulta esattamente nulla se si è proprio sull'equatore. È, allora, la combinazione di questi due effetti che richiede delle latitudini "moderate" per la formazione dei cicloni: la forza di Coriolis non è efficace per organizzare la tempesta se si è sotto i 5o di latitudine.

Ora, soddisfatte queste due condizioni (zone di bassa pressione a livello del mare, e a moderate latitudini), si riesce così a convogliare una grande massa d'aria verso il centro, facendola ruotare in senso antiorario. Tuttavia, se vi è una forte variabilità della velocità del vento lungo la verticale, questa può "disturbare" la risalita d'aria (calda) nel centro dell'uragano, provocando un effettivo spegnimento (già sul nascere) dello stesso. La terza condizione per far realmente "avviare" l'uragano, quindi, è proprio una non elevata variabilità della velocità del vento man mano che si sale in altitudine.

Salendo in quota, come si diceva, l'aria si raffredda e viene pompata dal centro dell'uragano verso l'esterno, e questo permette che più aria calda e umida venga risucchiata verso il centro a livello del mare. L'umidità dell'aria che, risalendo, diventa fredda, riesce poi a condensare, liberando altra energia e riscaldando ulteriormente la stessa aria, accelerando lo svolgersi dell'intero fenomeno. Al centro dell'uragano, il vento viene espulso nella parte superiore, e questo previene la formazione di nubi (dove l'aria umida è condensata), creando il familiare "occhio del ciclone".

L'uragano può continuare a manifestarsi per parecchi giorni, fintanto che rimane sopra un letto di acqua calda che gli fornisce energia. Quando viene però a trovarsi sulla terraferma, la mancanza della necessaria umidità, nonché il maggior attrito con il suolo, rapidamente lo distruggono. Ma, nel contempo, il dissiparsi della sua energia può provocare le distruzioni di edifici e cose che sono regolarmente descritte dai media.

Tutto chiaro, allora, sugli uragani? Se le caratteristiche generali che originano un uragano, così come appena descritte, sono ben note, mancano ancora parecchi tasselli al mosaico completo che potrebbe aiutare a fare delle previsioni ragionevoli sia sul cammino che un uragano intraprende, che sul cambiamento di intensità man mano che l'uragano evolve, entrambe delle questioni fondamentali per prevenire disastri. Da un punto di vista molto pratico, al momento la cosa più importante che rimane da capire è sapere cosa regola la massima intensità che un uragano può raggiungere in un determinato ambiente. Per la maggior parte degli uragani osservati negli ultimi decenni, l'intensità misurata è sempre risultata notevolmente minore di quella prevista dai modelli teorici. Ciò sembrerebbe suggerire che nell'atmosfera vi sono frequentemente in atto dei processi che riducono la potenza degli uragani, ma su questi non sappiamo ancora nulla di certo.

 

 

Sebbene la comprensione della fisica degli uragani sia enormemente migliorata negli ultimi vent'anni, e le previsioni siano diventate sempre più affidabili, dunque, sui processi fisici fondamentali che sono responsabili per la determinazione dell'intensità degli uragani abbiamo ancora molto da scoprire. Si accettano suggerimenti...

 

S. Esposito, fisico